In Medio Oriente il disprezzo per gli ebrei è una psicosi collettiva
Israele è colpevole ontologicamente. Non per quello che fa, ma per il fatto di esistere.
di David Meghnagi
Non è qui in gioco il diritto a discutere le scelte israeliane. La critica è il sale della democrazia. È un diritto dovere di cui in Israele tra l’altro si fa ampio uso, forse come in nessun altro paese democratico. Sono qui in discussione la forma che assume la critica, i pregiudizi di cui si alimenta, i doppi standard che si utilizzano per giudicare le scelte e i comportamenti, la delegittimazione che fa da sfondo. Per non parlare della demonizzazione e della falsificazione aperta dei fatti. Il solo fatto di dovere ogni volta iniziare con questa premessa, per potere adeguatamente sviluppare un’argomentazione più fondata su quanto accade nel Vicino Oriente e nel teatro delle sue rappresentazioni collettive, dovrebbe far riflettere.
Sarebbe sufficiente una breve disamina delle vignette apparse negli anni sui principali quotidiani europei, a commento della crisi mediorientale, per comprendere che non siamo di fronte a degli “errori” di valutazione, che si potrebbero facilmente correggere con informazioni più fondate e veritiere. Siamo di fronte a una deriva culturale che offende l’intelligenza, a luoghi comuni che appaiono “impermeabili” e resistenti alla dimostrazione della loro infondatezza. Siamo di fronte a una deriva che si è formata per sedimentazioni successive nell’arco di cinque decenni, saldando l’antica ostilità contro gli ebrei al rifiuto di Israele e alla sua delegittimazione. È un intreccio complesso dove sono all’opera molti elementi.
Solo per citarne alcuni: i residui dell’alleanza fra i regimi totalitari (l’URSS e i suoi satelliti) con i regimi dittatoriali emersi dalle lotte di liberazione dei loro popoli (Movimento del Terzo Mondo); il bisogno sempre più attuale delle metropoli ex coloniali di riscattarsi dalle loro colpe passate senza dover pagare per intero il prezzo morale e politico; la volontà dei regimi oppressivi arabi e islamici di dirottare all’esterno le responsabilità storiche dei loro fallimenti. In questo perverso gioco di rispecchiamenti perversi, Israele è lo Stato ideale contro il quale dirigere il fallimento dei rapporti fra le ex metropoli coloniali europee – alle prese con un grave declino economico e una crisi identitaria e valoriale per i profondi cambiamenti culturali indotti dai processi migratori degli ultimi decenni – e l’odio antisemita che dilaga nel mondo arabo e islamico.
Se non fosse per la realtà tragica del Vicino Oriente, verrebbe da ridere amaramente di fronte alle innumerevoli varianti di un tema che sulla falsariga dell’insegnamento preconciliare del disprezzo contro gli ebrei, ha purtroppo assunto i tratti di una psicosi collettiva. Come nell’insegnamento preconciliare dell’odio contro gli ebrei, Israele è colpevole ontologicamente. Non per quello che fa, ma per il fatto di essere. In questa perversa deriva lo Stato degli Ebrei diventa per molti l’Ebreo fra gli Stati, di cui si può dire tutto il male in uno stato di “innocenza” ritrovata, in cui l’antisemitismo mascherato di antisionismo può falsamente declinarsi come lotta al razzismo.
(Fonte: Shalom, Gennaio 2013)